domenica 20 luglio 2014

un posto

tipo quelle domeniche mattina che potresti restare a letto a dormire, e invece no. c’è da preparare il caffè, vedere se riesci a farti sentire dal mondo, pulire casa, andare a lavorare, mettere a posto i pensieri, o fermarli.
tipo quelle domeniche mattina che c’è il sole e vorresti mangiarlo. e invece un’altra cazzo di sigaretta e gorecki dei lamb che ti lecca le orecchie.

[“per esempio potresti raccontarmi una storia”
“se vuoi ti racconto di quella volta che non riuscivo a smettere d’inventarti”]

c’è quella canzone che parla di noi, che ci descrive così bene. quattro note di piano e una voce di donna, che un po’ fa male e un po’ ti viene voglia di squarciare l’universo e tirarne fuori il cuore che pulsa.
quindi è così, siamo tutto e il contrario di tutto. come dire, siamo la differenza tra il pensarci forte e il pensarci bene. e nel frattempo mi accarezzo la barba, mentre scorre quello che ci siamo detti e non, la paura di sbagliare, un altro caffè, la voglia di fare l’amore.

[“devo dirti una cosa”
“perché non mi abbracci e basta?”]

vorrei solo un posto dove appoggiare la testa.



mercoledì 16 luglio 2014

la prima lettera dell’alfabeto

è solo un altro temporale che si avvicina, un’altra notte che passa piano.
più che un’estate, questa, mi sembra una forma di incertezza, un respiro denso, una presa per il culo. ci sono i lampi tra le nuvole, i tuoni lontani, i momenti di attesa e le frasi fatte. credo non manchi proprio nulla per precipitare nel banale.
mi viene quasi da sorridere, a pensarmi qui a guardare il cielo, misurare le parole, e dosare le virgole.

[“lo so che stai cercando”
non ti rispondo.
“lo so che stai cercando, ma vorrei sapere esattamente cosa. nemmeno tu lo sai, vero?”
continuo a non risponderti, facendo finta di guardare lontano.
“vero?”
“ho sbagliato risposta troppe volte”
“ma mi spieghi perché fai così?
“così cosa?”
“ti sei creato un mondo, e ti ci sei chiuso dentro”
forse non è quello che vorresti sentirti dire da un amico.
“e tu perché non mi guardi negli occhi quando mi dici certe cose?”
“perché non ne ho il coraggio”]

una sera calda, finalmente. di quelle che la voce di sade non dovrebbe suonare fuori posto. di quelle che tutto si mischia: un po’ d’amore, un po’ di rabbia, la poca voglia che abbiamo di sentirci raccontare la verità, o parlare di realtà.
ci si prova, no? a crederci, a ricucire i pezzi di noi che negli anni ci hanno strappato o ci siamo strappati, a pensare che non sia stato inutile tutto questo guardarsi.

[“sai, forse ho trovato quello che cercavo”
“sai, forse un po’ ti invidio”
“no, ma è impossibile”
“non è impossibile, è bello. c’è una grossa differenza”
“non so dove guardare”
“comincia con lo smettere di guardarti”]

mi ritrovo ad avere così tanto tempo per me, che forse preferirei non averne.
è così che si inizia a mentire, credendo di proteggere gli altri.
e anche quando non sembra, il tempo passa.

[“dove sei?”
“sono qui. dove vuoi che sia?”
“sei qui, ma poi no”
sei in finzioni che non conosco, sei in pensieri che non mi includono, sei in altre parole.
“sono qui, stronzo”]

il dubbio è fino a che punto posso farti male.

venerdì 11 luglio 2014

ricominciare

da qualche parte bisogna pur ricominciare.
oggi c’è il sole, ed è un’estate strana. mi guardo attorno, mi guardo indietro, ma non importa dove sono, e chissenefrega dov’ero rimasto, tanto non sono mai la stessa cosa.
quante vite che ho passato, la maggior parte immaginarie. ascolto björk, fumo una sigaretta, e non mi piaccio. perché mettere insieme due pensieri e dare loro una forma dovrebbe essere facile, dovrebbe essere bello tirare le fila del discorso; invece tiro un filo di questa maglietta e si stacca un bottone.

[“adesso che ti ho trovato” mi dicevi.
“adesso che ti ho trovato…” e resta questa sospensione bella.
“quindi adesso credo che” e non finiamo mai le frasi.
“non finiamo mai le frasi, e così risolviamo il cinquanta per cento dei problemi”
“voglio essere la parola con la quale non finisci mai le frasi, e ti faccio un caffè”]

e questa cosa del ricominciare, che invece è solo un lento trasformarsi.
penso alle mie scelte, con un certo imbarazzo, e una specie di tenerezza. poi mi alzo, vado allo specchio e mi guardo in fondo agli occhi, e mi piaccio. c’è qualcosa lì che non so nemmeno io. c’è che non siamo mai pronti, per quanto ci possiamo immaginare.

[“che ne dici se ti bacio, e poi ci vediamo ancora”
“la differenza tra un ‘mi piaci’ e un ‘guarda quelle nuvole’, no?”
“sì, ma poi domani”
“poi domani mica so che tempo farà. è un’estate strana”]

quindi forse funziona così, che teniamo traccia di ciò che accade solo per farlo accadere.
tra tutti i libri che ho letto, ce n’è uno che mi si è piantato dentro. e lo so, lo so benissimo che le cose non stanno così, che la realtà è una bestia strana; ma tra tutti, tra tutti i libri, mi si è piantato dentro, e un motivo ci sarà.

[“c’è una parte di te che mi porto dentro”
“cosa mi vuoi dire, esattamente?”
“che ne dici se non torniamo più indietro?”
“che il destino ci guarda, e ride tantissimo”
“prima o poi ci vendichiamo”]

e non so perché ti sto raccontando tutto questo. forse semplicemente mi piace parlare da solo.