giovedì 28 maggio 2015

confusione

e quante volte dovrò dire,
che mi dispiace, ma devo andare

andrea nardinocchi – un posto per me

stamattina mi hanno chiamato a controllare una cosa in una camera, al quarto piano. ho preso il telefono portatile, il passepartout, una penna, che non si sa mai, ci potrebbe sempre essere bisogno di scrivere qualcosa, e sono entrato in ascensore.
quattro piani, io che mi guardavo allo specchio, una specie di silenzio irreale, e il tempo che per un attimo non era più tempo.

 [“dove sei?”
“dove vuoi”]

succede che quando ci guardiamo tanto, non ci riconosciamo più, o ci dimentichiamo; che quando non facciamo altro che cercarci, alla fine ci perdiamo. succede così, e quasi non ce ne accorgiamo. succede che vorremmo avere un posto nostro, e invece sembra che ci resti solo nebbia negli occhi. come oggi, anche se era una giornata di fine maggio e c’era il sole e il cielo era deciso.

[“non è così semplice”
“non ho mai pensato che lo fosse”]

sembra che ci resti solo una gran confusione, come quando non riusciamo a decidere che musica ascoltare, o non abbiamo voglia di capire quello che ci dicono. come quando sappiamo benissimo che stiamo sbagliando, che non dovremmo buttare via il nostro tempo e la luce dei desideri, ma sappiamo anche che per ora va bene così, si tratta solo di lasciarci passare.

[“ma quindi, alla fine, cosa sei?”
“un posto per te”]

si è aperta la porta dell’ascensore, al quarto piano. un’occhiata veloce agli occhi, e sono uscito.


lunedì 18 maggio 2015

momenti di debolezza

sometimes i get to thinkin', baby, when i'm all alone
i could maybe make it on my own

beth orton – precious maybe


l’altra sera il cielo aveva un colore poco reale, come solo a venezia può succedere. eravamo seduti nel minuscolo cortile all’aperto di un bàcaro vicino a campo santa margherita, e parlavamo, tra un bicchiere di vino e l’altro. dopo anni, dopo una vita passata ad ignorarci, ci siamo raccontati tutto quello che non ci eravamo raccontati nemmeno allora.
solo a venezia può succedere che il tramonto è incerto ma bellissimo, e l’aria profuma di momenti di debolezza.

[“non facevo che guardarti”
“perché?”
“perché cercavo di capire”]

quelli che non riusciamo a nascondere, anche se ci proviamo, ma è una smorfia impercettibile che ci tradisce, o la luce degli occhi che sa di desiderio, di voglia di mani, labbra e carne. come quella volta che eravamo su una panchina, al buio, lungo il canale, quasi ancora sconosciuti, e non c’era nessuno ma chiunque ci poteva vedere, e non riuscivamo a resisterci e avremmo voluto solo dimenticarci o non essere lì.

[“ricordo ancora il tuo profumo”
“capita anche a me”]

quelli che ci pentiamo subito dopo, che prima ci sembrava così bello, così giusto, e poi forse non ne siamo più così sicuri. come quando ti ho detto che mi manchi, anche se sapevo che non dovevo, e non era una bugia meravigliosa, era la verità, ma potevo farne a meno. e il tuo sguardo, giustamente, era incerto e bellissimo, come il tramonto a venezia.

[“lo sai che non si torna mai indietro”
“anche se sarebbe bello”
“anche se sarebbe inutile”]

sono giorni che vivo così, a momenti di debolezza.


domenica 3 maggio 2015

un anno fa

oh, can't anybody see
we've got a war to fight
never found our way
regardless of what they say

portishead – roads

un anno fa, più o meno, mi è cambiata la vita. non faccio che pensarci, in questi giorni. penso che non è successo nulla, in fondo, che quasi nessuno se n’è accorto, e quasi non me ne accorgevo nemmeno io. è stato un leggero slittamento del cuore, una nota stonata, un graffio muto.

[“forse preferivo continuare a non sapere il tuo nome”]

ascolto i portishead, stasera, che mi consumano le orecchie. il cielo è coperto e ha una luce strana, come di primavera incazzata. suona il telefono, ed è la voce rassicurante che volevo sentire, quella che ti dice tutto senza dirti mai niente. il mondo forse fa un altro rumore, ma stasera non importa. stasera il mondo è la voce di beth gibbons, che quando attacca a cantare roads, con il suo “oh” stentato, a me ogni volta vengono i brividi, e vorrei solo chiudere gli occhi e diventare invisibile.

[“ma adesso dove andiamo?”
“da nessuna parte?”
“o dappertutto?”]

un anno fa, più o meno, ero lì e ti domandavo cosa stesse succedendo. non avevi risposte, come immaginavo. mi guardavi e basta. mi facevi tenerezza e anche un po’ paura. perché avrei voluto chiederti “ma adesso dove andiamo”, ma non ce n’era bisogno, perché sapevo benissimo che non dovevamo andare da nessuna parte, dovevamo solo provare a stare fermi, e non ci riuscivamo. dovevamo solo provare ad abbracciarci, e non ci riuscivamo.

[“a volte succede che non ho più niente da dire”
“e allora tu guardami”
“e se non ti vedo?”]

un anno fa, più o meno, i tuoi occhi erano i miei.