giovedì 17 gennaio 2013

come cuocere un uovo fabergé



Kiss me out of the bearded barley
(Sixpence none the richer – “Kiss me”)


perché tutto inizia da una sorpresa.
vorrei farle una sorpresa. certo, qualcosa di prezioso, ma non è quello l’importante. l’importante è che rimanga stupita, a bocca aperta. come quando mi osserva, la sera, con occhi intensi e comprensivi, compassionevoli. io seduto in poltrona, stanco, chiuso nei miei pensieri, davanti al caminetto, mentre mi tormento la barba e sento il suo sguardo di amorevole sconosciuta che si posa su di me, silenzioso, indeciso. sì, voglio farle una sorpresa, la merita, la mia paziente straniera. una cosa semplice ma strabiliante. una sorpresa nella sorpresa nella sorpresa. come a dire scoprimi, sono qui, toglimi i vestiti, voglio sentirti più vicina, farti sentire che ci sono, chiudere fuori il rumore del mondo e i sospiri delle preoccupazioni, la politica i soldi la gente, tutto, voglio essere tuo almeno per un momento, un lungo momento caldo, un istante di tensione, di corpi, di dita e sorrisi, di sussurri, piacere, perdono.
il desiderio ha un bel nome. no?

[“ma che bella! cos’è?”
“…”
“una piccola sfera di vetro. ma dove l’hai trovata?”
“l’ho fatta fare da un mastro vetraio.”
“sono senza parole. grazie.”
“…”
“solo tu. solo tu hai ‘ste pensate.”
“ti ricordi quando parlavamo della sfera?”
“questa assomiglia più a un uovo.”]

qualcosa di semplice ma strabiliante. una sorpresa nella sorpresa nella sorpresa. così mi ha detto, testuali parole. mica facile, cazzo. mica facile.
giorni di imprecazioni e dita mangiate, rimbrotti e rassicurazioni. e poi ho pensato: un uovo. ho detto: uovo. semplice come la parola stessa, perfetto come l’universo. un uovo di pasqua d’oro e pietre preziose, che contenga una sorpresa che contenga una sorpresa.
chi avrebbe mai detto che la vita può cambiare in quattro lettere.

[“c’è qualcuno dietro di te.”
“scusa?”
“lo vedo. un fantasma, qualcosa di cui non ti sei ancora liberato. un pensiero, un ricordo.”
“ma che dici? non c’è nessuno…”
“ci stai parlando, ci parli sempre. anche adesso che sei qui con me.”
“…”
“pensi ancora a lei, vero? dimmi di no. dimmi che non c’è più. mandala via, cazzo, mandala via. uccidila!”
“ti prego, stai calma.”
“ti voglio.”]

come se mi avesse regalato se stesso.
il suo pensiero è il suo corpo. un piccolo sbuffo bianco opaco, freddo, con un cuore d’oro. lo sento. lo sento dentro di me, un profumo sconosciuto. come se mi toccasse, come se danzassimo rimanendo fermi, vedo mani intrecciate, che esplorano, un passo dopo l’altro, un inchino, singulti e dolori trattenuti. come se mi sussurrasse all’orecchio lasciati andare, senza lasciarmi andare, mi sussurrasse siamo acqua che si scioglie, e fuoco intenso.
e non riesco a dire niente, solo a guardarlo, con occhi grandi e labbra umide. mi sorride, complice e imbarazzato, come a chiedermi perdono, quando non ha nulla di cui essere perdonato, se non della vita che il destino gli ha riservato.
ma io lo so che sa a cosa sto pensando, e non ho bisogno di dire nulla.
e lo chiamo desiderio, senza che lui lo sappia.

[“non ce la faccio più.”
“…”
“davvero, non ce la faccio più a stare senza di te. non sto scherzando.”
“te l’ho già spiegato mille volte.”
“non ce la faccio più.“
“che fai, ti allontani?”
“non ce la faccio più.”
“torna qui.”
“…”
“…”
“abbracciami. sempre.”
“non so se le mie braccia sono grandi abbastanza.”
“covami.”
“…”
“non ce la faccio più.”
“mi spiace. non so più cosa fare per te.”
“lascialo, cazzo. lascialo!”
“non posso. lo amo.”
“allora lascia me!”
“non posso. ti amo.”]

è malinconia densa, la mia. che scorre lenta nelle vene, calda come un abbraccio, bella come un cielo terso, un mal di pancia, una vertigine.