giovedì 13 ottobre 2011

l’uovo cosmico


mi piacciono gli inizi, i principi; sanno di rugiada, di pane appena sfornato, di occhi stropicciati.

[“mi ricordo quando mi hai afferrato la mano, in mezzo alla gente. non me l’aspettavo.”
“mi è venuto spontaneo. e poi non ci vedeva nessuno. tu però l’hai subito ritirata, stronzo.”
“mi pareva fuori luogo e ero imbarazzato. ci conoscevamo da due ore.”
“e allora?”
“vuoi sempre avere ragione tu, vero?”
“io ho sempre ragione.”]

e mi hanno sempre affascinato le cosmogonie (a volte mi accusano di essere sadico, di usare volutamente un linguaggio pesante e ricercato. ma io sono così, una pregna parolona di quattro lettere), le storie di creazione.

[“ho dovuto farti ubriacare, per riuscire a portarti a letto.”
“mi avevi appena detto che eri fidanzata.”
“sei sempre stato così serio.”
“è nella mia natura del cazzo.”
“mi sei piaciuto da subito per quello, comunque. ti dovevo assolutamente avere, mi parevi così irraggiungibile.”
“io?”
“sì, tu.”
“un’altra preda per la tua collezione.”]

la storia della mia genesi è una storia semplice.
ricordo tutto molto bene, anche se non ci vedevo (che forse non avevo gli occhi, o ancora non li sapevo usare). non c’era nulla, e vagavo insensato nel buio denso della notte, aspettando che succedesse qualcosa, che qualcuno mi deponesse. nessun rumore, nessun colore, nessun odore. non vedendo, ho solo percepito, ovattato, un battito di ali nere. maternamente mi hanno afferrato artigli. come alito antico, poi, ho sentito il vento freddo del nord. e lì, nell’utero dell’oscurità, cullato dalla perfetta inconsistenza spazio-temporale, mi hanno lasciato embrionale e argenteo, a covarmi da solo.

[“e la scena della metropolitana.”
“la scena della metropolitana. come in un film.”
“potevi scegliere. andare a destra o sinistra, a casa o con me.”
“la gente intorno a noi, che ci passava accanto, migliaia di persone avanti e indietro, su e giù dalle scale mobili. i treni che arrivavano, si fermavano, ripartivano. ma io non sentivo nulla. immobile, vedevo solo i tuoi occhi.”
“io vedevo solo le tue labbra.”
 “ero combattuto, sai? sapevo esattamente cosa sarebbe successo. ho visto il futuro, ma ho scelto la tua bocca.”
“ne sei pentito?”
“sì, decisamente. no, decisamente.”]

sorrido, di un sorriso senza braccia e senza mani. mi riapproprio, così, della mia nascita. e idealmente cammino, a tratti deciso, a tratti più traballante, su una fune tesa tra due opposti.

[“se le cose stanno così, ci devo ripensare.”
“a cosa devi pensare, che fino a ieri hai detto che mi ami?”
“ma se le cose stanno così.”
“capisco. se le cose stanno così. come stanno esattamente, le cose?”
“che avevo un’idea diversa, del nostro futuro. ma se le cose stanno così.”]

sono una trasposizione, un transito. ho molti nomi e molte facce.
non sono solo un uovo. sono la luce dentro la luce.

Nessun commento:

Posta un commento