we die containing a richness of lovers and tribes, tastes we have swallowed,
bodies we have plunged into and swum up as if rivers of wisdom,
characters we have climbed into as if trees, fears we have hidden in as if caves.
michael ondaatje – the english patient
a volte metto un po’ di musica, mi faccio un caffè, fumo una sigaretta, mi siedo qui, insieme alla pagina vuota, sospiro, mi alzo, guardo fuori dalla finestra, mi gratto la barba, ti penso, cambio musica, accendo un paio di candele, mi risiedo, bevo un sorso d’acqua e comincio a scrivere. non ho un posto da dove iniziare e, ancor meglio, dove andare a finire.
a volte non so nemmeno io cosa voglio. o forse lo so, ma faccio finta di non saperlo, che è più facile. altre volte, invece, so che vorrei essere il testo di hyperballad.
a volte trovo dentro di me cose che sono nascoste lì da sempre.
[“ma ciao! com’è andata oggi?”]
come ieri sera, che mi sono riguardato il mio film preferito, dopo molto tempo, e ne sono uscito quasi illeso. l’ho guardato per ricordarmi chi sono. e è una cosa bella che ne sono uscito quasi illeso, che sono sempre io ma anche decisamente un altro, che volevo smettere di desiderare ma no, non è ancora il momento, aspetta, non avere sempre fretta, non avere sempre tutta questa maledetta fretta. allora ho spento la tv, dopo che è finito, sono rimasto al buio, ho contato fino a dieci, e ho pensato a cosa siamo.
[“per favore mi passi il sale?”]
siamo libri, pagine che abbiamo sfogliato e parole dimenticate, siamo le canzoni che non ricordiamo, le immagini che ci restano dietro agli occhi. siamo i passi che non fanno più rumore, i corpi che abbiamo preso, le mani che abbiamo perso. siamo le nostre domande, le risposte che non ci hanno dato o abbiamo fatto finta di non sentire. siamo segni, cicatrici, morsi. siamo una nota che salta, un momento che non ha coordinate, un attimo di speranza, un sorriso, luce.
[“stasera ci vediamo un film o facciamo l’amore?”]
poi sì, a volte vorrei nascondermi. così, per precauzione.