lunedì 10 ottobre 2011

la quadratura dell’uovo


ho scritto un uovo.
ai vecchi tempi, quando ancora si usavano carta e penna, l’avrei disegnato (o almeno ci avrei provato, che non mi chiamo giotto).
e allora l’ho scritto. senza rendermene conto, ho visto la parola, lì, nero su bianco, impressa nitida e semplice su milioni di pixel. l’ho guardata e rimirata, nella sua forma sostantiva.
una u capiente (decisamente minuscola) e la prima o, poi quella v che è un po’ come un inferno inguinale prima dell’altra ovoidale o.

[“lo sai che ci giri sempre intorno?”
“boh. non ci ho mai pensato. può essere.”
“è così difficile, per te, arrivare al dunque?”
“dipende se è tanto lontano, questo dunque. che sono bradipo e non mi va di camminare a lungo.”
“sto parlando seriamente…”
“anche io.”]

ho scritto uovo, senza sapere dove l’uovo sarebbe potuto andare a parare.
ho scritto uovo, e mi ci sono immediatamente immedesimato.
io che: sono un uomo. sono nuovo. sono un uovo. io che, in fondo, parlo ma ancora non sono nato (questo è un omaggio, i pensieri non sono miei; sono mie le parole, sono mie le sinapsi): una contraddizione in termini, tutto e il contrario di tutto.

[“ti potrei rovinare la vita. ma non mi va di farlo, perché ti amo.”
“tocca a me?”
“cosa?”
“la battuta. è il mio turno, sul tuo copione? perché il mio è sbiadito e non riesco a leggerlo bene.”
“fanculo. sì, tocca a te.”
“me l’hai già rovinata da tempo.”]

avrei voluto che l’uovo avesse una trama, un tessuto, un testo, invece non ce l’ha, per ora (che la sua trama è l’universo).
avrei voluto inquadrarlo, l’uovo, fissarlo in un quadro (tridimensionale, come corpi che dalla tela vogliono uscire per urlare la loro presenza, la loro esistenza, la loro vita), nella sua essenza d’opera d’arte, bellezza perfetta e ineffabile. impossibile, la quadratura dell’uovo.

[“perché non dormi?”
“perché mi batte il cuore.”
“mi ferisci, così.”
“il cuore è mio.”]

in quanto uovo, devo essere covato per essere scovato.

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