giovedì 11 dicembre 2014

resta

we will never find the pieces to put them back together

jeffrey eugenides – the virgin suicides


io parto tra qualche ora.
le valigie sono pronte, l’itinerario pianificato, e, con la mia consueta precisione, ho fatto tutto quello che dovevo fare. attendo questo momento da mesi, da quando era caldo e tutto sembrava così lontano e impossibile. intanto ho avuto anche il tempo di raccontarmi un paio di bugie, perché non volevo che mi si insinuasse nessuno nella mente prima di partire. e invece.
resta qualcosa che mi sfugge dalle dita, una frase che finisce con una virgola.

[“ma sei sicuro di quello che dici?”
“ovviamente no”
“direi che è un ottimo punto di partenza”]

io parto e resti tu, che chissà se mi ascolti o mi hai mai ascoltato. resti tu, che chissà adesso dove sei e se è vero che mi pensi, che mi hai fatto vedere piano quello che poteva succedere dopo i fantasmi, che credevo fossi un po’ me e un po’ quello che volevo essere.
e chissà se lo sai che ogni tanto immagino che mi guardi di nascosto, e sorrido, sperando tu ti chieda se quel sorriso è per te.

[“raccontami qualcosa di te”
“da dove vuoi che inizi?”
“non importa da dove inizi, l’importante è che non finisci”]

io parto, tu resta.


mercoledì 3 dicembre 2014

non esistono gli addii

this is our last goodbye
now you should be holding me

the knife – n.y. hotel


non mi piacciono gli addii. come a tutti, immagino.
per questo, l’altro giorno, quando l’ho accompagnato all’aeroporto, l’ho lasciato lì, alla fila del check-in, ci siamo stretti in un abbraccio, gli ho detto “ci vediamo tra un paio di settimane”, guardandolo negli occhi, e me ne sono andato.
così, semplicemente, mi sono girato e me ne sono andato, senza andarmene.

[“chissà se mi pensa”
“il tuo problema è che ti ostini a voler sapere cose che è meglio non sapere”]

ci siamo conosciuti 12 anni fa, in università, ad atlanta. è iniziata così, che mi ha chiesto come sto, con quei suoi occhi veri; io devo aver risposto qualcosa tipo “bene, grazie”, e lui subito ha capito che sono italiano, con mia grande umiliazione, che nei mesi credevo di aver smussato l’accento. è iniziata così, con la sua risata piena e luminosa, un’amicizia che dura da allora ed è fatta di continui addii.

[“e adesso?”
“adesso mi sento come uno che ha perso la cosa più bella che aveva e ne troverà una ancora più bella”]

io che ho lasciato venezia e certi sogni, lui che si è sposato e i sogni li ha inseguiti con tenacia. io che ho cambiato lavoro e comprato casa, lui che è stato lasciato dalla moglie e la casa l’ha venduta. io che in fondo sto ancora cercando me stesso, lui che in fondo si è dovuto ritrovare suo malgrado.
e nel frattempo abbiamo accumulato abbracci, tatuaggi, cicatrici e addii.

[“vorrei solo capire cosa fare”
“devi solo smetterla di cercare e lasciare che il mondo accada”]

perché è così, non esistono gli addii. che di definitivo hanno solo il nome, e sopravvivono stiracchiati sulla pelle, nei ricordi, nei sospiri, negli occhi lucidi e tra i capelli bianchi.