we're doing fine now, yeah we do.
we don't feel sad or bad or blue,
and you know, we're never defeated
or broken inside.
all that is fine, all that is fine.
beth orton – daybreaker
da quando sono tornato ho fatto finta di non avere tempo per pensare. o forse ho semplicemente lasciato che le cose mi accadessero, non senza andarle un po’ a cercare, lo ammetto, ma con quella sensazione che fossero lì, ad aspettarmi, desiderose di assalirmi.
proprio come le parole che sto scrivendo in questo momento, che sono nascoste, in agguato, pronte ad azzannarmi, a sezionarmi con la loro precisione chirurgica, e che cerco di tenere a bada sorseggiando una birra, prendendo in mano il cellulare, facendo ripartire in loop la stessa canzone di beth orton, controllando se, fuori dalla finestra, le stelle non abbiano bisogno di dirmi qualcos’altro.
[“sei sicuro che non ci siamo già conosciuti?”
“in una vita precedente, intendi?”
“o nella prossima”]
c’erano degli amici a cena, l’altra sera. e non so, sarà che non avevo ancora smaltito del tutto il fuso orario, o che non ero più abituato a lavorare tutto il giorno dopo quasi due mesi di pausa, ma era come essere in una specie di sogno, la musica era alta e parlavamo forte, gli occhi erano più grandi del solito, non avevo così tanta paura, non mi importava se sbagliavamo i congiuntivi, e la casa sembrava piena, e avevo voglia che lo fosse.
[“la tua pelle parla una lingua che assomiglia alla mia”
“o la tua lingua parla alla mia pelle”]
e mentre parlavamo ero un po’ lì, con loro, a guardarli, e un po’ da un’altra parte, a pensare che serve tempo per trovarsi, e che non bastano due braccia, o una parola giusta, per non sentirsi soli. che non è sempre così facile viversi, anche se ci si desidera tantissimo. che ci facciamo complicati, a volte, solo perché lo vogliamo; ma a volte semplicemente perché siamo complicati e non possiamo fare altrimenti. che ci sono cose più grandi di noi e della nostra voglia di spaccare il mondo, e restiamo ammutoliti. che respiriamo il profumo di una pelle e vorremmo fosse nostra, ma chissà cosa si nasconde, dietro quella pelle, e ci fermiamo.
[“ti ho pensato”
“capita anche a me”
“e hai paura?”
“sempre”]
quindi pare che stasera le stelle non abbiano niente da dirmi. adesso esco io, e mi ascoltano.
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